Penelope

Donna tra lavoro e Maternità

Mi piace fotografare le persone.

Ma mi piace fotografarle come persone, non come oggetti.

Per me è certamente importante l’inquadratura, la luce, la messa a fuoco del dettaglio, ma è ancora più importante la storia che quella persona si porta dietro, l’emozione che esprime davanti all’obiettivo.

Quando fotografo una donna che aspetta un bambino, o una mamma che sorride ai suoi figli, cerco di creare una relazione di fiducia e di tranquillità, le persone devono sentirsi accolte e rispettate.

Mi è capitato tante volte, così, di ascoltare i loro racconti, che spesso accanto alla gioia e alla tenerezza esprimevano la difficoltà di conciliare maternità e lavoro, di far convivere positivamente l’identità di madre con quella di donna e di lavoratrice.

È così che è nato il progetto Penelope. E dall’adesione spontanea ed entusiasta di tante donne ho capito che stavo toccando un tema centrale nella vita di ciascuna di loro.

La conciliazione fra maternità e lavoro significa emancipazione ma significa anche non privare la società dell’apporto determinante del lavoro femminile.

Oggi una società avanzata non può permettersi di tener fuori dal mondo del lavoro metà della sua popolazione, rinunciando alle conoscenze, alle competenze, all’intelligenza e alla sensibilità delle donne.

Ma una società in cui non nascono bambini è destinata a esaurirsi: sostenere la maternità significa allora semplicemente consentire la crescita economica e culturale di un paese.

Avere nel proprio team di lavoro una lavoratrice che è anche una madre non deve più essere visto come un peso ma come un valore sociale da sostenere.

Questo progetto non vuole essere solamente una “visione in rosa” ma suggerire che collaborazione, rispetto e reciproco sostegno tra uomini e donne sono possibili, nell’ambiente familiare come in quello del lavoro, come fa intuire l’ultima foto della serie.

Le protagoniste sono donne che aspettano un bambino e madri, anche di figli adulti, tutte lavoratrici di vari settori, fotografate con i segni distintivi del proprio lavoro, la divisa o gli strumenti del mestiere, che diventano il simbolo positivo di questa presenza femminile forte.

Durante gli shooting ho raccolto i loro pensieri e i loro racconti che, rielaborati senza censure e staccati dal riferimento diretto alla singola persona, compongono un mosaico di storie da cui emergono alcuni fili conduttori.

La parola che torna con più insistenza è “nonni”: indispensabili, ringraziati, menzionati anche solo per rimpiangerne l’assenza, costituiscono il primo livello di una cura dei figli che esce dalla coppia e si apre a una responsabilità condivisa e allargata.

Un’altra parola è “turni”: spezzati, notturni, lunghi, sempre debordanti rispetto all’orario di uscita dalla scuola, costituiscono una vera fonte di ansia per le donne e il banco di prova dell’organizzazione familiare. Anche il Covid ritorna con frequenza: c’è chi ha

perso il lavoro, chi si è barcamenato in case piccole fra smartworking e figli in didattica a distanza, chi ha scelto la pausa forzata per provare ad avere un figlio che altrimenti non sarebbe nato… anche da queste storie si misura l’impatto della pandemia.

Ma la cosa più sorprendente è l’emergere in molte storie (non in tutte) di un ruolo quasi marginale dei padri: le donne dicono di “lasciare” i figli al marito come se fosse un babysitter, pensano che sia importante farsi “aiutare” dal marito come se fosse un favore… ne emerge che il percorso verso una responsabilità genitoriale davvero condivisa è ancora lungo.

Proprio per questo il progetto prende il nome da Penelope. È arrivato il momento che la moglie devota, la madre esemplare, rovesci lo stereotipo, esca di casa e cammini per le strade del mondo, anche fuori dalla sua Itaca, che usi la sua intelligenza non per difendersi dai prepotenti, ma per crescere i suoi figli tessendo la tela di una società più aperta, più inclusiva, più solidale.

A conclusione di questo progetto, spero dunque di essere riuscita a trasmettere attraverso le immagini il senso di una realtà complessa e in evoluzione e soprattutto l’importanza di una valorizzazione positiva della presenza femminile nel mondo del lavoro, in cui i ruoli di madre e lavoratrice non dovrebbero essere in conflitto ma concorrere entrambi a costituire l’identità della persona.